"I GRANDI GENERALI DI ROMA ANTICA" di Andrea Frediani- articolo di Fausto Tomio

12.09.2022

L'Autore nacque a Roma nel 1963, dove vive e lavora. Laureato in storia medievale, si è occupato anche di storia romana con svariati libri. Ha frequentato il liceo classico e un corso di laurea in lettere alla Sapienza di Roma. Ha collaborato con diverse riviste di storia.

Nel 1998, con "Gli assedi di Roma", ha vinto il premio Orient. Express nella sezione romanistica.

Con "Dictator, il trionfo di Cesare" ha ottenuto il premio Selezione Bancarella nel 2011.

Nel 2014 ha vinto il premio "Torre di Castruccio" nella sezione letteratura.

Con romanzi e saggi si è occupato anche di altre epoche storiche, non solo Roma antica e medioevo, come "300 guerrieri, la battaglia delle Termopili" o "Le grandi battaglie di Napoleone".

Il libro pubblicato nel 2003 da Newton & Compton Editori, prende in considerazione una lunga lista di capi militari romani, a cominciare da Furio Camillo, ai tempi della repubblica, iniziando dal 413 a.C., quando, appena sedicenne, partecipò alla sua prima battaglia, per finire con Costantino.

A mio parere, l'appellativo di "grande generale" non si addice proprio a tutti i nomi della lista. Mi riferisco per esempio a Crasso colpevole, con certe sue decisioni assurde ed inspiegabili, di uno dei più grandi disastri della storia militare romana. Qualcuno potrebbe dire che fu colpa delle maledizioni che gli vennero lanciate, ma la decisione di non fare riposare le truppe, obbligandole a giungere sul campo di battaglia stremate dal caldo e dalle marce forzate, non credo dipendesse da queste. E che dire della stupidissima decisione di mandare la fanteria ad inseguire delle truppe di cavalleria? Neanche un perfetto idiota potrebbe non sapere che un uomo a piedi è troppo lento per un cavallo, anche se si tratta di legionari romani, avvezzi a marce lunghe e veloci. Dite pure ciò che volete, ma non ha scuse. Se proprio vogliamo spezzare una lancia in suo favore, possiamo ricordare che stroncò la rivolta di Spartaco, ma quando si trovò davanti un vero esercito, finì come sappiamo. Si comportò molto meglio suo figlio, comandante di cavalleria.

L'Autore, giustamente, si astiene dallo stilare la classifica dei migliori dal momento che ci sono troppi fattori da considerare, quali il numero e la qualità delle truppe a disposizione, il loro equipaggiamento, l'armamento, l'addestramento, l'affidabilità; bisogna tener conto anche del tipo di nemico da affrontare: non è certo la stessa cosa avere a che fare con qualche centinaio di selvaggi coperti di pelli e armati di pietre e bastoni, e invece trovarsi davanti arcieri a cavallo e catafratti parti. Non sono nemmeno la stessa cosa le legioni romane dei primordi, o dell'epoca d'oro, o del tardo impero. Finché le legioni erano formate da cittadini romani era un conto, quando poi diventarono l'ombra di loro stesse, erano legioni solo di nome, completamente diverse e molto deboli, sia come numero di armati che come equipaggiamento, e spesso di dubbia affidabilità.

Un altro elemento importante sono i resoconti di cronisti, storici, biografi, agiografi e denigratori; non avendo la macchina del tempo, e quindi non potendo andare a vedere di persona, dobbiamo per forza affidarci alle notizie che ci giungono, a volte "addomesticate", quindi non possiamo escludere che qualche geniale comandante abbia compiuto grandi imprese ma nessuno lo abbia saputo, magari perché un altro si è preso il merito; analogamente, potrebbe essere accaduto che qualcuno abbia ricevuto meriti che in realtà non aveva, grazie alla compiacenza di qualche cronista di parte; tra l'altro sono esistiti dei calunniatori seriali che hanno messo ingiustamente in cattiva luce personaggi che per qualche motivo gli erano invisi.

Si sbilancia solo nell'affermare che i due condottieri che più si distinsero per fantasia tattica e strategica, furono Scipione l'Africano e Costantino. Ci fu un tempo, ai primordi della storia romana, in cui anche un comandante mediocre poteva vincere una battaglia, poiché i soldati erano addestrati in modo da sapere già cosa fare: i dolori arrivarono quando si trovarono davanti nemici che usavano metodi diversi da quelli canonici; un po' come accadde con l'avvento di Napoleone.

Nel Settecento la guerra era rigidamente regolata, poi apparve questo illustre sconosciuto che rivoluzionò tutto e colse alla sprovvista i "generali parrucconi", cambiando completamente il modo di combattere e sbaragliandoli uno dopo l'altro, anche quando si trovava in condizione di assoluta inferiorità; non basta avere a disposizione dei mezzi, degli strumenti, bisogna anche usarli nel modo più opportuno, ed è qui che si vede la grandezza di un condottiero. Ad esempio, Annibale si è quasi sempre trovato davanti eserciti romani più numerosi, ma riusciva a sbaragliarli comunque; poi venne il già citato Scipione l'Africano, e la musica cambiò.

L'opera è divisa in varie parti:

I PER LA REPUBBLICA

Va dal già citato Furio Camillo fino agli Scipioni, l'Africano e l'Emiliano. In pratica comincia con la repubblica romana in lotta coi vicini laziali e l'invasione dei galli di Brenno, e finisce con le guerre puniche e la definitiva sconfitta di Cartagine.

II PER IL POTERE

Inizia con la guerra civile e tratta di Mario, Silla, Lucullo, Pompeo, Crasso, Cesare, Marco Antonio. Finisce con la battaglia di Azio.

III PER L'IMPERO

Comincia, ovviamente, con Ottaviano e va fino a Costantino. Ottaviano inteso come imperatore, non come generale, visto che le sue battaglie le condusse Agrippa.

I condottieri trattati sono Agrippa, appunto, Tiberio, Druso, Germanico, Tito, Traiano, Marco Aurelio, Settimio Severo, Aureliano, Costantino.

Alcuni di questi esiterei a definirli "grandi generali"; altri furono anche grandi imperatori, oltre che ottimi comandanti; qualcuno fece una fine ingloriosa, qualcuno assurse a fama imperitura.


A cura di Fausto Tomio

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